In cartellone ci sono il tenorissimo e il giovin tenore, la superstar e la «rising star», l’emerso e l’emergente. Sono rispettivamente Juan Diego Florez, peruviano, 34 anni e Francesco Meli, genovese, 27. Così il già esauritissimo Elisir d’amore di Donizetti, al Regio da domani, diventa un derby a distanza fra il Nemorino della prima compagnia e quello della seconda e uno dei rari casi in cui sarebbe bene sentirle entrambe, concesso e non dato di riuscire a trovare un biglietto. Intervista doppia.
Quando ha cantato il suo primo Nemorino?
Florez: «Nel 2004, a Las Palmas. Questo è il secondo».
Meli: «Nel 2002, a Savona. Poi a Bologna, Genova e nei teatri lombardi. Quindi, siamo al quinto».
Qual è il punto più difficile?
F: «Di veramente difficile c’è nulla, né grandi acuti né virtuosismi. Solo una musica bellissima: è una parte d’espressione».
M: «Non c’è un momento più difficile. È una parte difficile nel complesso, perché Nemorino è praticamente sempre in scena. Del resto, dice Pavarotti che per capire se un tenore sa cantare bisogna ascoltarlo nell’Elisir».
E quello che le dà più soddisfazione?
F: «I duetti sono molto divertenti. Soprattutto quello con Dulcamara».
M: «Il quartetto del secondo atto. Anche perché di solito si taglia».
E quello in cui prende più applausi?
F: «Beh, “Una furtiva lagrima”, naturalmente. Dove il massimo non è tanto ricevere gli applausi, ma se arrivano dopo qualche momento di silenzio totale. E, spero, commosso».
M: «”Una furtiva lagrima”, certo».
Un aggettivo per definire questa produzione?
F: «Anche un avverbio: molto simpatica».
M: «Frizzante».
L’opera che canterà sempre?
F: «Credo La fille du régiment e L’italiana in Algeri».
M: «L’elisir d’amore. Almeno spero».
E quella che che non canterà mai?
F: «Sicuramente Werther».
M: «Il flauto magico. Troppo tedesca».
Il primo requisito di un grande tenore?
F: «Avere i nervi saldi».
M: «Di base, una bella voce».
Il tenore di ieri che ammira di più?
F:«Alfredo Kraus».
M: «Francisco Araiza».
E quello di oggi?
F: «Marcelo Alvarez»
M: «Idem».
Cosa fa un tenore quando non canta?
F: «Di solito sto al computer. Anche solo per rispondere alle e-mail».
M: «Il marito e il papà».
I tenori odiano ancora le primedonne?
F: «Non credo. Una volta i cantanti avevano più potere e la concorrenza era più accanita. Oggi non abbiamo ragione di detestarci».
M: «Forse sì. Io comunque ne ho sposata una, Serena Gamberoni, che canta con me nel secondo cast. Ci siamo innamorati cantando l’Elisir, quindi quest’opera per noi significa molto».
La sua primadonna preferita?
F: «La mia Adina qui a Torino, Eva Mei. È la personificazione della civiltà del canto».
M: «Visto che scegliere mia moglie sarebbe banale, dico Patrizia Ciofi».
Per un cantante è più pericoloso un cattivo direttore o un cattivo regista?
F: «Tutto sommato, un cattivo direttore».
M: «Un cattivo direttore. Perché in palcoscenico una regia scema puoi anche non farla, ma la musica devi cantarla per forza».
È meglio essere famosi o bravi?
F: «È meglio essere famosi per le ragioni giuste: non perché si fanno i concertoni crossover negli stadi, ma perché si è bravi».
M: «Bravi, bravi. Andare sui giornali è il contorno, non il piatto forte».
La sua prossima opera?
F: «Otello di Rossini in agosto a Pesaro».
M: «Il barbiere di Siviglia quest’estate all’Arena di Verona».
Il progetto cui tiene di più?
F: «Il mio disco in uscita a settembre, dedicato al tenore romantico Giovanni Battista Rubini».
M: «Lucia di Lammermoor a Bologna nella prossima stagione».
Le piace Torino?
F: «Bellissima. E molto migliorata dopo le Olimpiadi».
M: «Da genovese innamorato di Genova e anche piuttosto campanilista, dico che è una città dove potrei decidere di vivere».
Un aggettivo per il suo collega.
F: «Bravo».
M: «Entusiasmante».
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